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Diablo Squad (Franco Escamilla)

2019.03.28 18:20 Carlosv16 Diablo Squad (Franco Escamilla)

Bienvenidos!, Diablo Squad es un subreddit para discutir todo aquello que tenga que ver con Franco Escamilla y su squad, discusion de temas tratados en las mesas, noticias, fotos, memes, Radio Squad y cualquier otro tema relacionado con ESCAN Managment recuerda seguir a Franco en sus redes sociales Facebook: Franco Escamilla o @Francoescaoficial Twitter: @franco_esca Instagram: Franco Escamilla o francoescamillaoficial Youtube: Franco Escamilla
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2024.05.15 18:25 Valuable_Fox4780 La meditazione deve portare al fondo dell'esperienza... Articolo del Maestro Franco Bertossa

La meditazione deve portare al fondo dell'esperienza. Nella immobilità del corpo e nella calma interiore è possibile, seguendo istruzioni adeguate, calarsi in alcune direzioni:
  1. verso il sapore spoglio della propria carne - zazen
  2. verso il puro fenomeno sensoriale colto nel suo esser "altro" - vipassana
  3. sul suono interiore, il pranava, che inizia con la concentrazione un mantra dato iniziaticamente o su sibili e rombi fisiologici (il suono del silenzio)
  4. verso il punto iniziale da cui ci si affaccia su un mondo (di veglia, di sogno, di immaginazione) - yoga, tantra
  5. Verso il sapore del cuore - bhakti, devozione, ma anche tantra e jnana (coscienza-cuore)
  6. nel puro stato "senza intenzioni" - dzogchen
Vi sono inoltre alcuni altri luoghi di assorbimento o concentrazione, ma sono troppo delicati per poterne scrivere qui.
Ciascuna di queste vie contempla un qualche sviluppo progressivo o repentino. Un salto di esperienza:
  1. distacco e perfino uscita dal corpo
  2. espansione improvvisa in un campo definito "come spazio senziente" o "natura essenziale"
  3. visione dei fenomeni senza mente interpretante - epoché totale
  4. potenti esplosioni del sentire, particolarmente in cuore, diaframma e gola
Un salto di consapevolezza:
"vedere il tutto dal nulla" - stacco totale dalla totalità dell'esperito, anche dal l'io, senza residuo - prajna, lo "Shin Jin datsu raku" di Dogen.
Io insegno per questo ultimo fine.
Come mezzo, uso anche alcuni dei metodi di assorbimento elencati sopra.
La ragione mi fu insegnata da un tibetano: occorre evocare una mente profonda, sensibile e intuitiva perché un adeguato stimolo produca l'improvviso salto di consapevolezza auspicato.
Un risultato pressoché generale conseguito dal regolare assorbimento nel principio è la cessazione della paura della morte.
Propria e altrui.
Sofferenza sì, panico no. ... Franco Bertossa ...
… Foto: Milarepa, celebre asceta tibetano dei tempi passati. Yogi più recente che ha meditato fino al trapasso.
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2024.05.15 18:20 Valuable_Fox4780 Non parlò, non tacque... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Non parlò, non tacque ...
Una volta un uomo chiese al Buddha: "Non chiedo parole né chiedo non-parole".
Il Buddha rimase seduto.
Dopo un po' l’uomo lo lodò dicendo: "La grande compassione dell'Onorato nel Mondo ha disperso la mia nescienza permettendomi di illuminarmi".
Fece un inchino di ringraziamento e se ne andò.
Allora Ananada chiese al Buddha: "Che realizzazione ha avuto quest’uomo che neppure è vostro seguace, per lodarvi in questo modo?"
L'Onorato nel Mondo rispose: "Egli è come un cavallo di gran classe: gli è bastata la sola ombra del frustino per partire."
... Cosa colse quell'uomo? ...
Duemila anni dopo, la monaca Ryonen indicò la silente risposta. ...
“Sessantasei volte questi occhi hanno guardato la mutevole scena dell’autunno.
Ho parlato abbastanza del chiaro di luna, Non domandare oltre.
Ma ascolta la voce dei pini e dei cedri quando non c’è un alito di vento."
(Monaca Ryonen, 1646 - 1711) ...
Franco Bertossa ...
Foto: Il grande metafisico, Giorgio del Chirico, 1969.
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2024.05.15 18:19 Valuable_Fox4780 Che significa "essere"?... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Che significa
Che significa "essere"? In esergo ad Essere e Tempo, Heidegger cita il Platone del Sofista: «Poiché è chiaro che voi avete una lunga familiarità con ciò che propriamente intendete quando usate l’espressione "essente", e anche noi una volta credemmo di comprenderlo, però ora siamo caduti in perplessità».
La domanda sull'essere, il suo significato ed il suo senso, pare oggi spenta. l'ultimo grande guerriero che ha tenuto viva la battaglia su ciò è Emanuele Severino, per il quale partecipare dell'essere significa "eternità", ogni eterno essendo non creabile e non annichilabile.
Ma, aveva detto Kant, e mi trova del tutto d'accordo, "L’eternità stessa si limita a misurare la durata delle cose, ma non le sostiene." Si può precisare che per Severino "eternità" significhi più non creabilità e non annientabilità che durata, ma la durata degli enti va inclusa nella sua visione degli eterni. Ne ho discusso abbastanza con lui stesso da poterlo qui sostenere. Il non poter essere niente da parte dell'ente non sostiene l'essente, non ne elimina l'infondatezza. Il fatto che ci si ritrovi ad essere resta intrinsecamente ed irrimediabilmente misterioso.
Kant conclude: "Non si può evitare il pensiero, ma neanche sostenerlo; che un ente che ci rappresentiamo come il sommo di tutti i possibili, dica in certo qual modo a se stesso: Io sono dall’eternità per l’eternità; fuori di me non è nulla se non ciò che è qualcosa meramente per mia volontà; ma donde sono io allora? ".
L'essente nella sua originarietà, interezza e totalità… da dove? Ritornando a Heidegger:
Perché? Come mai, l'essente invece di niente?
Qui si pone il "click!", che talvolta accade, anche se più spesso no, che illumina e fa intendere le ragioni ed intuizioni di Kant e Heidegger.
Col solo logos si sosterrà che non potendo l'essente diventare niente, esso è necessario. No: è, sì, necessario che, essente l'essente, tale permanga, ma che esso sia invece che non essere, non è necessario. E ciò anche se si consideri l'essente come il senza inizio. Sono perfettamente consapevole che paia una contraddizione irrisolvibile.
Finché un lampo non ti percuote la mente ed intuisci.
È questo il satori. Così è accaduto a me e a tanta gente che ho potuto conoscere negli ultimi quarantaquattro anni: ad alcuni sono sgorgate lacrime di una commozione che ancora li accompagna; altri, avendo visto, come dice Kant, quel pensiero che "Non si può evitare, ma neanche sostenere", ne sono fuggiti impanicati. Ma hanno visto!
Finché tale evento non si risveglia, si sta a seguire il sentiero di un freddo e convinto rigore logico che, però, nega la visione del Mistero.
Ma ognuno resta là dove sta la sua soddisfazione - finché può restarne soddisfatto.
… Franco Bertossa …
… Foto: De Staël, Magritte, Morandi,
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2024.05.15 18:16 Valuable_Fox4780 V'è una nozione difficile a cui attingere ed è quella di Prajna... Articolo del Maestro Franco Bertossa

V'è una nozione difficile a cui attingere ed è quella di Prajna... Articolo del Maestro Franco Bertossa
V'è una nozione difficile a cui attingere ed è quella di Prajna - cuore del Buddhismo. È nozione a cui ci si apre a seguito di un'esperienza. Io traduco Prajna, concettualmente, non etimologicamente, come il sapere della differenza: il sapere da parte della differenza, circa la differenza.
Il "da parte della differenza" è problematico, poiché la differenza - differenza di qualcosa rispetto a niente di quel qualcosa, e dunque dell'Universo intero rispetto a niente di Universo - la differenza non è un soggetto, non è un ente: essa dice della differenza di ogni possibile soggetto o ente rispetto al niente di ogni possibile soggetto o ente.
Beatrice Benfenati, maestra di meditazione e yoga presso Asia di Bologna, ha sottilissimamente precisato che la nozione di niente allorché si esprime la differenza, per non essere ipostatizzata, debba essere usata con la specificazione del "di". Esempio: "perché l'ente invece di niente?" guadagna in chiarezza ed incisività se formulata con "perché l'ente invece di niente di ente?".
Così non v'è possibilità di confondere il niente con un che che non sia proprio… un bel niente.
Niente è solo… niente! Non esiste.
Chiarito ciò, continuiamo prendendo atto che noi, alquanto mirabilmente, sappiamo del niente, di quel che non c'è, e sappiamo anche della differenza rispetto a niente.
Questo sapere è ciò che caratterizza più originariamente e profondamente la "esperienza umana"; esperienza che, peraltro, fatica parecchio ad assurgere a tali vette, in un susseguirsi di grandi tormenti e sofferenze.
Dunque Prajna sta per "sapere della differenza: da parte della differenza, circa la differenza".
Ma, tradizionalmente noi siamo invece impostati su un piano della conoscenza che non fa appello al niente radicale. Sulla scia di Heidegger, condivido che tale sia la via della conoscenza da Platone in poi: oblio dell'essere sta per oblio del niente e dunque della differenza rispetto a niente.
La visione platonica assume che si dia, al principio, un soggetto di cui vada ricercata la verità - ciò risuona anche nel pre platonico "conosci te stesso" scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.
Nel corso della storia del pensiero la verità è stata dunque cercata come verità circa la natura ultima dell'ente.
La differenza, invece, non ha per baricentro un soggetto o un ente, ma l'essere perfino del soggetto e di ogni ente nella loro differenza rispetto a niente di soggetto e di ente.
Ecco, qui inizia il difficile.
Chiarisco che non sto negando l'esperienza di soggettità, poiché l'essere di un soggetto si conferma perfino nel dubbio e nella negazione di esso: Chi dubita? Chi nega che vi sia un soggetto?
Il soggetto, io. L'esperienza di soggetto non può essere negata.
La questione è, piuttosto, che il soggetto non può essere il termine ultimo del sapere. Il sapere ultimo trascende anche il soggetto.
Ecco la trappola per i mistici di ispirazione platonica-vedantica: certo, penseranno, la Realtà è oltre il soggetto…
Ebbene, cari amici, quella stessa Realtà non sarebbe (è) un mero niente, ma sarebbe comunque differente rispetto al niente, al niente perfino di quella Realtà.
Anatman, disse il Buddha (non perfino l'atman, la realtà suprema).
La conoscenza di questo - Prajna - si riflette nello specchio della mente del soggetto il quale lo assume, lo articola e lo dice, come fa ora, però non si esaurisce nel soggetto, per quanto supremo esso possa essere.
Tale conoscenza, d'altronde, non appartiene neppure a qualche altra dimensione - la quale dimensione, trovandosi ad essere, sarebbe differente da niente e, dunque, ci farebbe permanere nella impostazione platonica.
Non a questa dimensione , non ad altre dimensioni più sottili.
Chi può comprendere questo è liberato.
"Forma è proprio e solo vuoto, vuoto è solo e proprio forma…"
"Non v'è la benché minime differenza tra samsara e nirvana."
"Lo stesso andare e venire del mondo, dipendente e condizionato da altro, non dipendente e condizionato da altro è nirvana - tale l'insegnamento."
"Anche senza aver trovato l'uscita da questa terra di morte, ecco io ne sono fuori."
Per concludere, ecco il punto essenziale: a ciò non si ha accesso intellettualmente.
L'intelletto e la ragione potranno aiutarci ad impostare il problema e a chiarirne i significati in un tempo successivo, ma l'accesso è un lampo, una folgore nella mente e nel cuore.
Ripeto che tale esperienza è databile: si sa quando è accaduto, ora, giorno, mese, anno.
Chi non ha vissuto tale improvviso risveglio, ma immagina di stare capendo, sta, appunto… immaginando.
Accettarlo è difficile per la nostra impostazione educativa oggettiva dove pare sia sufficiente studiare e ragionare, ma le cose stanno così.
"Se capisci, le cose stanno come stanno; se non capisci le cose stanno come stanno."
A cui alcuni replicano: allora perché affannarmi nel cercare di capire? Se ti riesce di non farlo, allora non farlo, rispondo io.
… Franco Bertossa …
… Foto: Esterno della casa natale di Shariputra, colui che il Buddha avrebbe voluto come successore. Morì, però, prima del Buddha stesso, ben più anziano.
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2024.05.15 18:14 Valuable_Fox4780 L'interrogare zen non ha nulla di affine a quello greco.... Articolo del Maestro Franco Bertossa

L'interrogare zen non ha nulla di affine a quello greco.

È talmente semplice da richiedere un’illuminazione per intenderlo…

Un monaco chiese al maestro Chongshou:
Chongshou disse:
[poteva bastare uno sguardo, ma si compiacque di suscitare una eco.. si sa mai...]
Il monaco chiese:
[arridàjje..]
Chongshou disse:
[se per due volte chiedi "cos'è una domanda?", allora sei proprio uno zuccone!]
Xingyan sentì il richiamo di una tortora e disse:
  • Cos'è questo suono?
[cosa è QUESTO suono? … quale suono? esatto!]
Un monaco disse:
  • È il richiamo di una tortora.
Xingyan disse:
  • Se non vuoi dar inizio a un cattivo karma senza fine, non diffamare il vero Dharma dei Tathagata!"
[proprio forma è vuoto e proprio vuoto è forma... Mai dimenticare, certo, ma innanzitutto realizzarlo]
... Franco Bertossa ...
Foto: Il gruppo di Asia medita sul Picco dell’Avvoltoio, Rajgir, India. “Buddha porge un fiore, Mahakassyapa sorride…” accadde qui. Qui nacque la “trasmissione al di là di parole e lettere, direttamente da cuore a cuore”: lo Zen.
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2024.05.15 18:11 Valuable_Fox4780 Cosa sappiamo quando diciamo che qualcosa è, che noi siamo?... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Cosa sappiamo quando diciamo che qualcosa è, che noi siamo?
Cosa, in quel fenomeno, in quell'evento, ci svela la sua esistenza?
Quando tengo incontri con persone che non mi frequentano su questi temi, allorché si giunge a menzionare "essere", io chiedo "ma cosa significa essere?".
E nessuno sa procedere.
In genere provano a dire sinonimi (essere significa esistere, stare qui..) o menzionano funzioni della coscienza (essere significa che percepisco, che sono cosciente).
Io chiarisco che un sinonimo non spiega nulla di più e che, in quanto alle funzioni, pure esse esistono…
E dunque che significa essere?
Si giunge così ad una impasse: volti silenziosi e perplessi.
Quel che mi preme sottolineare, a quel punto, è proprio il fatto che si sia giunti fino a quel momento della vita senza sapere cosa significhi davvero "essere".
E che stanno assaporando, proprio allora, quello che Heidegger chiamava la condizione di "oblio dell'essere" e che il buddhismo chiama nescienza, avidya.
È una linea sotto la quale procede e si sviluppa il mondo in cui versiamo; sopra la quale lo si vede trasmutato, seppur nulla appaia cambiato.
Lo si vede, alfine, essere.
Dunque, cosa significa essere?
... Franco Bertossa …
… Foto: Giorgio Morandi, Fiori, 1920. Giorgio de Chirico Trovatore, 1973 ca.
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2024.05.15 18:06 Valuable_Fox4780 Il vuoto è la dimora del Tathagata... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Il vuoto è la dimora del Tathagata. Però se è vuoto non è una dimora, bensì una non-dimora. E dunque proprio perché è una non-dimora, è la dimora del Tathagata. -
… Versi perduti del Sutra del Diamante ritrovati nei manoscritti di Gilgit …
Franco Bertossa …
Foto : San Galgano
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2024.05.15 18:01 Valuable_Fox4780 Pratica alla luce del Sutra del Cuore... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Pratica alla luce del Sutra del Cuore... Articolo del Maestro Franco Bertossa
Pratica alla luce del Sutra del Cuore
La posizione così come mi fu insegnata. La respirazione fisica si integra a quella sottile. Come mi fu insegnato. Al momento giusto, i movimenti di braccia e colonna per attivare lo stato pranico profondo.
Nella improvvisa apertura, gli skandha si scindono, ciascuno contemplabile separatamente.
Forma, sensazione, concezione, intenzione, coscienze esperienziali.
Risalendo la scala del vedere sottile, giungo alla soglia ultima: guardare il guardare.
I due si distinguono, per via di una sapienza capace di tale estrema discriminazione.
Osservo l'essere dell'osservare.
So dell'essere del sapere.
Lo spigolo estremo - l'arcano centrale dell'esperienza umana - è ripetutamente scavalcato: dal vedere, al vedere l'essere del vedere.
Dall'orizzontale del "come" al verticale del "fatto che". Perché mai si dà coscienza senza un quanto di energia, dice il Tantra. Giammai si dà essere senza ente che sia - dice Heidegger.
Meravigliosamente i due concordano.
Dal "che" constatante il primordiale modo d'essere del mondo - l'aurora del mondo - ripetutamente si scatta indietro - si trascende - nel vedere che anche quel primordiale "che", constatante il modo del mondo, è visto essere.
Che esiste il che.
A monte più nulla.
Perfino l'io si staglia come nuvola nel cielo del nulla.
Dall'estrema discriminazione sorgono significati differenti: l'esplorazione della vacuità.
Nulla più dipende da un come.
Ma un dono vien aggiunto: una indicibile gioia.
Pura, soave e piena.
Neppure è più possibile concepire che manchi qualcosa a tale pienezza.
Supera la stessa capacità di desiderare di più. Essa neppure dipende dal suo estatico sapore - che pur si dà.
E più lo si aggredisce di infondatezza e vacuità, più generosamente scaturisce gioia.
Questo è l'estremo Cuore della Sapienza che è andata al di là.
Là dove tutto sbiadisce nell'inconsistenza e nell'infondatezza, resta il dono di una inspiegabile, felice, pienezza.
Sutra del Cuore

... Franco Bertossa ...
… Foto: Museo Guimet, Parigi: Monaco zen mentre sta vedendo oltre la gioia stessa. (Ovviamente è mia interpretazione)
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2024.05.15 17:55 Valuable_Fox4780 La sola via laica alla sapienza che l'Occidente conosca... Articolo del Maestro Franco Bertossa

La sola via laica alla sapienza che l'Occidente conosca - la filosofia che noi frequentiamo oggi, avviatasi, nella forma che ha portato a noi, dai tempi della Schola Palatina di Carlo Magno, e ben diversa, nei modi di fruizione, da quella vissuta dai Greci - si è integralmente consegnata allo scritto.
Ciò si traduce nel momento del singolo studioso alle prese con i testi.
In ciò manca la "palestra filosofica" vissuta, quella del frequente dialogo orale con un maestro e con compagni di passione per la conoscenza più profonda, la sapienza.
Questa passa in altro modo che non attraverso il solo scritto:
essa necessità di una "trasmissione della lampada" da spirito a spirito, da mente a mente, da vibrante energia donante a vibrante energia che brami di ricevere.
Esiste, però, una tal sapienza?
Naturalmente, se così ho scritto, sostengo di sì.
Questa affermazione, in Occidente, trova un ambiente scettico, addirittura diffidente.
Ma io penso non si tratti solo di diffidenza.
Penso invece che sia paura.
Incontrare quel sapere che si impone in modo incontrovertibile, spaventa.
E a maggior ragione se lo cogli negli occhi di chi te lo sta mostrando in quello stesso momento - .. e non solo ti consiglia un libro da leggere in solitudine il giorno seguente.
Lo so perché da decenni lo constato.
Eppure la proposta è onesta: si tratta di incontrarsi occhi negli occhi, partendo dalle domande e dai dubbi, e via via potenziandoli nello sviluppo della dialettica.
Ciò va integrato con momenti di introspezione onde verificare se quanto affermato o dubitato trovi riscontro nel vissuto coscienziale più intimo.
Ai nostri tempi, però, latita, o si è perso per via, il coraggio di affrontare il rischio della verità ultima.
Il cosiddetto "relativismo standard" funge da casa del gioco filosofico ove potersi permettere ogni pensiero, ogni ipotesi, ogni interpretazione e.. ogni impunita contraddizione - con ciò preservandosi rassicuranti vie di fuga dalla costrizione ad UNA verità.
E non si tratta di una verità dogmatica, poiché la dialettica di cui dico muove dal dubbio e lo alimenta addirittura oltre le stesse capacità del singolo contendente.
Si tratta proprio di coraggio - di una virtù, insomma - che accompagni il domandare con mezzi di osservazione profonda - la meditazione - la quale può portare a intuizioni decisive circa la propria originaria esperienza di sé.
E allora "coscienza", "esistenza", "sé", "non sé", "libertà", "illusione", "certezza", "senso", "verità".. non saranno e non potranno più essere solo temi di controversia interpretativa.
Infatti ci si può calare esperienzialmente nel cuore di tali problemi e restarvi sistematicamente, così da scoprire da sé l'incontrovertibile verità su di essi.
Sono affermazioni forti, ne son conscio.
Se non fossi in grado di mostrare, ogni volta che propongo tali temi e pratiche, che le cose stanno proprio così - considerando che il pubblico è regolarmente di cultura medio alta, e spesso molto alta - sarei già scomparso dalla scena da molto tempo.
Invece accade regolarmente che il pubblico resti persuaso.
Ma il detto sapienziale indiano che si dice uscite dalla bocca di Krishna (di Vyasa, nella realtà):
"su mille, uno mi cerca; di mille che mi cercano, uno mi trova"
si conferma.
Si può anche restare totalmente persuasi in quella specifica occasione, dedicata ed intensa, solo che il giorno dopo già ci non si ricorda più nulla.
Cosicché a chi propone tale novello sguardo, pare di dare solo e sempre spadate sull'acqua.
Ma non me ne lamento, è il solo gioco che amo.
E poi accade anche di incontrare talvolta quell'uno su mille per mille.
Allora la mia natura indo-greco-nippo-balcanica sorride soddisfatta ad occhi stretti vedendo la sua testa mozzata rotolare al mio spietato fendente.
E la sua anima liberarsi.
.. Franco Bertossa …
Foto: questo è un bokken, spada di legno, ma a casa ho una katana vera che data al 1474. Per i casi più difficili, uso quella.
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2024.05.15 17:53 Valuable_Fox4780 Pensare il nulla è problematico assai... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Pensare il nulla è problematico assai, poiché qualsiasi tentativo sarà pur sempre un pensiero, un qualcosa, e dunque un non-nulla. La mente produce o prende atto di ciò per cui esiste: pensieri, impressioni, astrazioni… ma è pur sempre qualcosa mentre noi ci chiediamo del nulla. Come sappiamo del nulla?
Perché è pur vero che ne sappiamo.
Infatti è contraddittorio negare che sappiamo il nulla perché il negarlo necessariamente significa:
del sapere del nulla: nulla.
Per negarlo lo si usa - e non si può non usarlo.
Sappiamo cosa significa "nulla", ma non possiamo pensarlo, perché ogni pensiero a riguardo sarebbe qualcosa, altro da nulla.
Con ciò dico che c'è differenza tra sapere e pensare, sebbene il sapere fondamentale si rifletta nel pensare e solo in virtù di ciò ora posso scriverne.
Il nulla è talmente nulla che neppure c'è.
Non ci si può, per questo motivo, rapportare al nulla con un linguaggio che è cresciuto sul suo totalmente altro, sull'ente.
Quando ci chiediamo, stupiti: come mai c'è qualcosa e non c'è invece il nulla? stiamo usando male il linguaggio. Ipostatizziamo il nulla e lo trattiamo alla maniera di un ente o, comunque, di una situazione quale è quella, ad esempio, dell'assenza. Ma un'assenza non è il nulla; essa è solo una circostanza per la quale è più proprio il verbo "stare" che il verbo "essere". Come dicono gli amici napoletani: "Nun ci sta.", nel senso che qualcosa non è presente in una situazione che potrebbe accoglierlo. Con il significato di "assenza", in derivazione da "stare", in quanto il non star-ci, si intende un ambito vuoto.
Noi stiamo nell'Universo in quanto il tutto; ma l'Universo dove sta?
L'Universo non sta, perché esso include ogni ambito possibile, bensì l'Universo è - e non piuttosto non è.
Ecco allora: come pensare quel "non è"? Non possiamo pensarlo - perché ogni pensiero alludente al nulla comunque è - ma lo sappiamo e non possiamo non saperlo.
Perché dire di non saperlo significa, come già detto: del saperne: niente.
Erroneamente, la domanda "come sarebbe se non ci fosse nulla?" viene intesa: come sarebbe se ci fosse IL nulla?
Ma il nulla non può esserci, perché il nulla non è qualcosa o una situazione che possa ESSERE.
Il nulla non c'è.
Noi non possiamo immaginare, astrarre, concepire la portata della domanda fondamentale - perché in generale l'ente e non piuttosto niente? - che Heidegger stesso sentì bisogno di riformulare, trovando problemi col pensiero del nulla.
(Ho usato sinonimicamente "niente" e "nulla", e per questa circostanza credo non faccia problemi. Traducendo Heidegger abbiamo, ad Asia, preferito tradurre Nichts con niente).
Nella prima formulazione, presentata in "Che cos'è metafisica?", Heidegger comunque non usa l'articolo davanti a Nichts, ovvero non ne fa un qualcosa. La seconda formulazione, presentata in "Domande fondamentali della filosofia", appare sotto forma di presa d'atto avvolta in sentimenti di mostruosità e spavento:
"L'ente è e non piuttosto non è" - e ciò è mostruosamente sconcertante. Non domanda, dunque, ma stupore e, infine, ritegno: non saper proferire parola di fronte all'inaudito.
(Viene in mente il Wittgenstein di "Non come il mondo è, è il MISTICO, ma che esso è." - Il "Mistico" di W. e "ritegno" di H. sono simili: non poterne parlare)
Dunque dobbiamo fare i conti con qualcosa che non è un'alternativa quale sarebbe espressa nella prima formulazione:
"Perché l'ente e non piuttosto (il) niente?" confusamente intesa con "perché l'essere dell'ente e non l'essere del niente?"
ma con una "differenza":
"ente - non niente!"
E tale differenza non necessita di pensiero che la immagini, perché ogni pensiero, anche il più astretto, comunque è - e non non è.
Relegare il sapere al solo pensare, concettualizzare, immaginare, dedurre, ecc. è limitativo.
Ecco la "fine" della filosofia a cui accenna Heidegger.
Perché noi siamo capaci d'altro.
L'essere, in quanto differenza, è capace di sapersi senza doversi limitare al solo pensare.
Ecco la sfida, caro Renato.
E lo stupore che si risveglia nel ritrovarci ad essere non è stupidità.
È stupido chi non intende quel che fondamentalmente non possiamo non sapere: che ci siamo - e non piuttosto non ci siamo.
E che è puro miracolo - di nessun Dio.
Quando giungo sull'orlo di questa contemplazione, sento infinita gratitudine (verso chi, poi?) e una incomparabile gioia.
Perché là non è contemplabile l'errore.
Infine, la Verità, alla maniera dello zen.
Verità alla quale, come nello zen, si accede d'improvviso - e chi non vi ha avuto accesso è costretto a limitarsi al solo pensare concettuale.
Solo dopo aver esaurito la portata del pensare concettuale insistendo su l'impossibilità attuata dell'essere e sfociando, infine, nel sapere fondamentale ma non fondante, si ha pace.
È una gioia non umana.
Franco Bertossa
Foto: 1. In questa casetta, costruita nel giardino della casa sui primi colli di Friburgo coi proventi della vendita del manoscritto di Essere e Tempo, vendita curata da Hannah Arendt quando Heidegger iniziò ad avere problemi di cuore e dunque a salire le scale della vecchia casa, dietro a questa finestra, Gertrud trovò il nonno morto.
La seconda foto è del disegno che la nipote Gertrud fece del nonno appena deceduto e che gentilmente ci ha mostrato.
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2024.05.03 16:38 madsudaca Grupos insurgentes en Venezuela

Grupos insurgentes en Venezuela
Ya había posteado esto pero un Mod lo removió por no tener el flair correcto. Lo vuelvo a postear corrigiendo el flair. Mis disculpas a los que les haya tocado ver el post repetido.
Esto es algo que me pregunto seguido. En otro lugares del mundo han habido grupos haciendo muchos más destrozos y haciéndole la vida difícil a las autoridades por mucho menos de lo que la tiranía chavista ha hecho en Venezuela.
Incluso en Venezuela misma, los guerrilleros comunistas de los 50s y 60s tenían más espíritu para hacer desastres en el país. Será que era sólo porque tenían el apoyo de la URSS?
Otro grupos que se me vienen a la mente:
  • Los grupos independentistas vascos (la ETA), que utilizaba el terrorismo para conseguir la separación del país vasco del reino español, en aquella época bajo el dominio de Franco.
https://preview.redd.it/q9870fno38yc1.png?width=289&format=png&auto=webp&s=3d197946f1125e926b30ce8b6b8397b2c4a4fd06
  • Los musulmanes que por algo que algo que a nosotros nos puede parecer tan estúpido como arrecharse por una foto de allah, terminan haciendo actos de terrorismo. Por ejemplo el caso de Charlie Hebdo.
https://preview.redd.it/6b6nbpqr28yc1.png?width=200&format=png&auto=webp&s=b8aa420ab56ffc61921464573d6dc850fece05c3
  • Incluso grupos insurgentes en la India durante los tiempos de Gandhi. Muchos pacifistas usan a Gandhi como símbolo de la lucha no violenta, pero lo que se dice es que en la India habían muchos grupos insurgentes peleando por derrocar el dominio Inglés. Claro, de ellos no se hablaba mucho, pero los había y jugaron un rol en la independencia de la India.
Por qué creen que los venezolanos hemos sido tan sumisos? La situación del país da para que como mínimo, algún grupo organizado haya hecho explotar algún chavista o algo por el estilo.
Ojo, no digo que esto esté bien, sólo me parece curioso que no haya habido nada de este estilo o tal vez estoy ignorando algo.
Que tendría que pasar en Venezuela para que haya algún grupo así en contra de la tiranía chavista? Por otro lado, pensando estas cosas me doy cuenta de la importancia de la segunda enmienda de EEUU:
Cuando salgamos de los chavistas tenemos que implementar algo similar.
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2024.04.30 21:51 Ok-Paramedic735 El Mercenario vs. El Chupacabras parte final 3.

Ya habían pasado algunos años desde la salida de “El Mercenario vs el Chupacabras segunda parte”. Mi amigo y yo nos habíamos gastado todo el dinero en poner un expendio pitero en la colonia más culera de la ahora mal llamada CDMX y con el poco dinero que nos sobro nos pusimos un pedon con unas putas de la misma colonia, dando como resultado que una de ellas saliera embarazada de mi. Poco a poco mi sueño de mierda de revivir el cine de mierda nacional se apagaba, pues aunque mis 2 películas fueron una puta basura yo todavía deseaba revivir mis sueños piteros de adolescente y hacer una película mas culera que “Perras de barrio”. Cada día que hablaba con mi amigo era lo mismo: “Vamos a hacer otra película verga, ya no tenemos dinero”, “Se nos va acabar el dinero y no hicimos la película del mata culeros” y pendejadas que salían de mi hocico para justificar que no tenia tiempo, cuando mi única obligación era mantener a la puta de mi vieja y darle la mitad de lo que generábamos con el expendió de mierda que teníamos a mi socio. Siempre me decía ese pendejo que mi vieja se la culiaba el vecino y que pusiéramos cámaras en su vecino, total era puta y podíamos ganar dinero haciendo porno casero, pero hasta esa mamada nos daba weva.
Un día haciéndome una paja en la oficina del expendió (que era un cuarto todo culero lleno de cucarachas y cartones de cerveza que nos tomabamos mi socio y yo) se me ocurrió la brillante idea de hacer la ultima parte del mercenario contra el chupacabras, pues aunque no lo crean tenia un guion mas culero todavía que el original y ya varios actores muertos de hambre con poco trabajo querían participar en ella (y no, no estoy hablando de los pendejos que hacen películas de meirda en Youtube).
Pero rápidamente pensé: “El chupacabras se lo llevo la verga”. Entonces agarre mi celular y dije, voy a buscar la idea mas pendeja para cerrar esta trilogía de mierda que nunca va servir, total ya nos compraron una película y a los pendejos de la colonia les gusto, que podia salir mal.
El pendejo de mi socio que curiosamente estaba por la colonia, me mando mensaje y me dijo que necesitaba dinero, después de eso le comente que era momento de revivir al puto del chupacabras y buscar a otro pendejo que hiciera el mercenario, total si las cadenas de mierda de stream nos compraron una película, que podía pasar si le vendíamos otra. Después de media hora y varias puñetas (con limpiada de papel incluida) y dos cervezas de mierda, llego mi socio, me dijo que acaba de culearse a una teibolera que cogía mas rico que cualquier encueratriz de mierda, paso siguiente le enseñe el guion y el pendejo lo leyó con tanto gusto que dijo que era imposible que esa mierda pudiera salir peor o mas culera que la primer película que hicimos ( o cualquier telenovela de mierda hecha en México).
Después de 2 horas de dialogo estúpido, ideas pendejas y falta de cultura del cine mexicano, decidimos que la mejor idea era revivir al chupacabras a mamadas, total si en todas las películas una puta mamaba rifle, pues porque en esta no.
Fue cuando el estúpido de mi socio dijo que conocía a una pendeja cribosa que por 5 pesos te la chupaba mejor que Luna Bella y que aparte no te daba sífilis o gonorrea después de eso, por ende, decidimos ir a buscarla y decirle que si por 100 pesos nos dejaba grabarla mientras todos los protagonistas cada 5 escenas se la cogían con una música pendeja de fondo. Llegando a un basurero de mierda, donde se veía que la gente comía ratas y se las cogía para ahorrar dinero en prostitutas, encontramos la madriguera de la puta que seria la actriz principal de la obra. Dicen las leyendas urbanas que esa vieja se la mamo a Los Honaz Broderz una vez que vinieron a tocar a la CDMX, pero nadie lo pudo comprobar pues los morros son mas jotos que el jefe de ellos.
Al llegar al a madriguera de la puta, nos dimos cuenta que había cerveza tirada por todos lados, pedazos de vidrio que se había fumado seguramente una noche anterior y algo de dinero en la mesa, que ya viéndolo nos lo robamos y fingimos que no lo hicimos. La vieja en su pendejez gritaba “sácamela Tutan camon” y “esta tan grande como la falta de talento de la cotorryza”. Decidimos despertarla y contarle nuestro plan, ella dijo que si dejaba que mi amigo le metiera la verga por el culo y se venia en sus tetas aceptaba, de esa forma mi amigo se cogio a esa golfa para que aceptara salir en nuestra mierda de película. Mientras se la cogía, mi amigo ponía cara de que se queria venir, pero la culera le dijo que si se venia le pegaría un vergazo en el osico, asi que no lo hizo.
Ya cuando terminaron de coger y hacer su cagadero nos fuimos del lugar, diciéndole que en una semana la queríamos arreglada, le compraríamos la ropa mas barata o en su caso, le daríamos ropa de mi vieja para que la usara en la producción de nuestro proyecto.
Como no teníamos dinero para rentar equipo de grabación, ni tampoco tiempo para generar dinero, decidí empeñar el carro de la puta de mi vieja, total esa culera manejaba de la verga y teníamos días peleándonos por cualquier mamada, de esa forma nos dieron cincuenta y mil pesos y un reloj pirata para grabar las próximas 2 semanas nuestra película de mierda. Acto siguiente fuimos con unos jóvenes para decirles si querían ser extras en nuestra película, les dijimos que si aceptaban una puta se las mamaria, asi que aceptaron los vírgenes pendejos que serian engañados por nosotros, pues la puta jamás se la mamaria a unos frikis pendejos que ven hentai.
Solo nos faltaba contratar a 5 actores pendejos carentes de talento, a 2 morras que quisieran ser besadas o mañoseadas por todos y equipo de utilería, teniamos un total de 10 mil pesos para el equipo y pagar algunos sueldos, asi que nos fuimos al único lugar donde están los actores desempleados de televisión, asi es fuimos a Television Ymagen, el único canal donde todos son desempleados y dicen pendejadas para generar raiting a costa de gente pendeja que no sabe leer o escribir. De esa forma contratamos a todos los que quisieron participar y todavía nos sobraron 5 mil pesos para la utileria de mierda.
Despues de comprar todo lo que necesitábamos con un ratero de la colonia y conseguir la utilería restante con un pendejo que hacia cine de mierda y que necesitaba dinero para pagarle la operación a la puta de su amante que se cogia cada 3 dias. Al dia siguiente de la estupides de viacrucis que fue comprar toda la utileria y rentar el equipo de grabación llegamos con los actores, la puta y los jóvenes frikis que eran mas vírgenes que los fans de Franco Escamilla, les explicamos de que trataría la película de mierda y decidimos que el chupacabras reviviría a mitad de la película, con el objetivo de que solo saliera 15 minutos, le pegaran una verguiza y volviera a desaparecer para volver a salir al final de la película para ser derrotado por el cara de culo del mercenario.
Empezamos a grabar, cada escena era mas culera que la anterior, cada idea del guion era mas mierda y clasista que la pagina anterior y los protagonistas actuaban aun mas culero que el drogadicto que era adicto a la puñeta. Las morras no estaban tan culeras, de hecho se antojaba culearselas de vez en cuando, pero eso si actuaban de la verga y eso que eran actrices que tuvieron trabajo por muchos años en telenovelas de poco renombre. Al llegar la puta, no pudo evitar llevarse al protagonista a un cuarto afuera de la casa donde grababamos para cogerse mutuamente y venirse unas 3 veces, fuera de ese cuarto había un baño donde los frikis se la estaban jalando como si tuvieran 15 años de edad.
La película finalmente llego a su climax, llegando el renacer del chupacabras en la escena mas culera jamás concebida y todos sabíamos que eso solo seria posible si poníamos unos efectos tan piteros que ni siquiera los power rangers originales los hubieran puesto, logrando asi una escena epica al mero estilo de Valentin Trujillo, pues entre expolosiones culeras, carros quemándose y putas gritando ayuda, salia el chupacabras de su tumba.
El wey que lo interpretaba era un borracho del ejido al lado del expendio, se tomo 2 cartones de pacifico y lo hizo excelente, de hecho su actuación fue tan culera y de la verga que a todos nos soprendio que la pudiera hacer con el grado de alcoholismo que tenia. Depsues de eso entran los jóvenes frikis que son devorados por el chupacabras de la forma mas mamona posible y dando como resultado que todos nos cagaramos de risa.
En efecto la película no podia estar mas culera y lo siguiente a grabar era una escena sofctore del chupacabras dándose a una amiga del mercenario, que era interpretada por alguna de las putillas, digo actrices exitosas que querían verga a cualquier costo. Mientras grababamos, los morros mecos frikis se la seguían jalando a la distancia, ya era cansado, asi que los mandamos a chingar a su madre para su casa a ver algo de hentai, de esa forma los morros se emputaron porque no se cogieron a ninguna morra. Digo siendo honestos ni sus abuelas se los cogerían, los morros hablaban puras mamadas random y eran tan fans de Heisenwolf que se aventaban sus datos globitos cada 10 segundos riéndose de puras pendejadas.
Llego el momento climax, el mercenario le tenia que pegar nuevamente la verguiza de su vida al chupacabras, dando como resultado una escena mamalona al puro estilo de Bruce lee, es decir vergazos a lo pendejo, ninjas bolando sin sentido y golpes que te mataban de una (asi como tu vieja cuando no se te para por andártela jalando todo el dia). Despues que el mercenario le cortara la cabeza por culero al chupacabras con una espada que estaba tirada en el piso y exitado por esa escena, se dio a la prostituta por todos lados, no mames eso era cine.
Pasaron 2 días después de esa gran grabación, mi vieja me mando a la verga porque se arto de que no generara un peso con el puto expendio por andar editando esa mierda de película, mi socio estaba coge y coge con su futura esposa (que era la puta que conocimos hace poco) y yo, bueno yo tenia la misión de terminar la mejor película de toda la historia del cine nacional (no estoy hablando de No se aceptan devoluciones en efecto).
Terminando esa mierda de película decidí era momento de buscar pasarla en una plataforma de stream, fuimos con varias y todas nos mandaron a la verga, pero siempre estaba la vieja confiable, subirla a una plataforma como Klaro vydeo y cobrarles hasta lo que no para que nos dejaran subirla explícitamente. Como resultado el que nos atendio nos pidió el numero de una de las actrices, nos dio 5 millones de pesos a los dos por esa meirda de película y nos pidió que jamás lo volviéramos a buscar, pues cuando vieron todos la película en la empresa se vomitaron hasta el desayuno culero que les hizo su vieja, aun asi nos dijo que si hacíamos otra película siempre lo buscaramos, pues queria bajar de peso.
Curiosamente “El Mercenario vs el chupacabras” gano premio al a peor película en un festival de Guadalajara, una Diosa de plata por peor actuación masculina y un reconocimiento del cine independiente y sus seguidores en un festival culero de CDMX. Todos mis esfuerzos se veían recompensados, mientras me daba una chaqueta viendo fotos random en internet. A los años decidimos que este seria el cierre de esta hermosa trilogía, pues estábamos hasta la verga de ver el disfraz del chupacabras y lo vendimos en patreon para sacar dinero de los pendejos que veían nuestras películas de mierda (así como a los simps que pagan only fans cuando el nopor es gratis).
Asi termina esta historia de mierda de años, una historia llena de putas, pajas, alucinógenos y malas actuaciones, que terminaron haciéndonos millonarios a todos menos a los actores pendejos que salieron en esas películas de mierda y por las cuales todavía siguen siendo molestados.
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2024.04.19 10:23 Valuable_Fox4780 Un piccolo sforzo... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Un piccolo sforzo: un rompicapo che, risolto, avvicina al sapere più profondo. ..
L'ultima parola non spetta alla mente.
L'ultima parola spetta al "che": che gli spetta, che non gli spetta, che non so se gli spetti…
Dunque gli spetta.
Il "che" dice dell'essere di ogni cosa: mostra e dice che è. Dice anche dell'essere dei tuoi eventuali dubbio o disaccordo: che ci sono.
Tutto ciò che ho scritto, però, accade nella mente, dunque parrebbe la mente avere l'ultima parola.
Ma se la mente ha l'ultima parola, la mente è. Che la mente è, è l'ultima parola. Dunque la mente non ha l'ultima parola, solo la riflette.
L'ultima parola spetta al pensiero dell'essere: circa l'essere, da parte dell'essere.
Ma l'essere non è alcuna delle cose che sono.
L'essere è la verità: che le cose sono.
Anche questa frase. Anche la tua perplessità.
Che esiste.
Sul filo del che scorre il pensiero dell'essere.
E financo nell'incertezza, lo splendore della certezza.
Essere non è opinione. Anche l'opinione è.
Al di là dell'opinione, la certezza. Essere - e non niente.
Un baratro che induce vertigini perfino a Dio.
Che infine una folgore ci attraversi il petto nell'improvvisa realizzazione di tale portento è Grazia.
Di là l'umanità delle opinioni. Di qua la certezza inconcussa dell'eterno miracolo che confonde perfino la mente di Dio: essere.
In mezzo, la serena solitudine di chi sa e non nutre più speranze.
Ma non è disperato.
...
Franco Bertossa …
… Foto: Una rosa del nostro giardino.
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2024.04.19 10:22 Valuable_Fox4780 La nostra essenza è ... Articolo del Maestro Franco

La nostra essenza è l'incapacitazione, poiché cessiamo di soffrire solo quando ci facciamo una ragione di quanto ci capita.
Siamo innanzitutto incapacitati d'esserci, ma anche di ciò che ci accade nei rapporti tra noi.
A volte succede che qualcuno ci faccia molto male proprio perché da quella persona mai ce lo saremmo in nessun modo aspettato.
Restiamo incapacitati. E ciò permane depositato nella nostra anima, corrosivo come acido. Anche dopo molti decenni, basta rinverdirlo, ed ecco che riaffiora in tutta la sua incapacitante e velenosa potenza.
Altre volte siamo noi stessi a commettere un che di molto brutto rispetto al nostro prossimo.
E, poiché una coscienza morale esiste, il male fatto ci rimorde.
Accade che tale senso di colpa cada in terreni psichici incapaci di dar ragione al prossimo - di chiedere perdono, cioè.
E così scatta un meccanismo compensativo: cerchiamo di trovare un minimo di colpa nella nostra vittima a nostra giustificazione: gli ho fatto torto sì, ma in fin dei conti se lo meritava…
Queste contorsioni psichiche sono morbose: ci sentiamo spinti a ripeterle e nutrirle per giustificarci e trovare sollievo, ma non funziona. La colpa mai ci lascia in pace.
L'incapacitazione chiede "ma perché...?!".
Ma mai esiste una risposta soddisfacente. Cercando fino in fondo, nessuno sa perché fa ciò che fa. Io credo che la sola terapia efficace sia di capire questo e poi di perdonare.
E di chiedere perdono.
Il perdono non è una opzione.
Il perdono è la sola realtà perché corrisponde ad una verità morale.
E tutti, in cuor nostro, lo sappiamo.
... Franco Bertossa …
Foto: Rimorso, un’opera di Miodragvalentino Pacciana
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2024.04.19 10:22 Valuable_Fox4780 La questione circa l'esperienza di illuminazione ... Articolo del Maestro Franco Bertossa

La questione circa l'esperienza di illuminazione sta nella differenza tra "essersi" ed "esserci".
La prima corrisponde alla domanda
"Cosa sono, nel più profondo?"
mentre la seconda corrisponde alla domanda
"Come mai ci sono, qualsiasi cosa io sia?"
Entrambe portano a improvvise esperienze illuminanti.
La prima ci ha donato Ramana Maharshi, "quel fantastico Dio-sole di Arunachala", per dirla alla Alan Watts, mentre la seconda ha generato alcuni grandi illuminati zen.
Ramana suggerisce di trovare "Chi" si è e, una volta realizzatolo, di riposare - essersi - nella pace e pienezza di "Quello", dell'Atman.
Sull'altro fronte l'esempio che preferisco e il seguente: un monaco chiese a Shih shuang a cosa corrispondesse l'esperienza zen. Shih shuang rispose: "Un sasso sospeso nel vuoto." Il monaco taceva, perplesso. Shih shuang gli chiese: "Hai capito?" Il monaco rispose di no. Shih shuang concluse: "È meglio che tu non abbia capito, altrimenti la tua testa sarebbe andata in frantumi!"
Shih shuang vuol dire che quando si realizza che ci ritroviamo gettati - nostro buon o malgrado - nell'esserci, la piena visione di ciò può risultare eccessiva per chi non sia pronto.
Ritrovarsi ad esser-ci, non ritrovarsi ad esser-si.
L'estrema modalità del mondo non può mai dare risposte sul come mai il mondo esista.
Il fatto che noi siamo coscienza - sia pure nelle sue stratificazioni "estremamente sottili", secondo l'espressione dei tibetani, e assolute secondo il Vedanta - non può in nessun modo spiegare come mai vi sia coscienza invece che niente di coscienza.
Come mai vi sia mondo, comunque esso sia, invece che niente di mondo.
Allora: o l'illuminazione coglie questa fondamentale differenza, tra esserci e niente di esserci - qualunque cosa si sia - o le manca qualcosa.
Mi sono confrontato per quarant'anni con protagonisti della ricerca interiore.
Pressoché tutti hanno trovato - così mi han detto - la loro essenza più profonda. E quando non accettavano il termine "essenza", dicevano che era un "Nulla" pieno di potenzialità.
Il che è vero.
Ma come mai esista quel "Nulla" pieno di potenzialità invece di nulla di tale "Nulla".. non se lo chiedevano.
E che insistessi li disturbava.
Finché non ci si affaccerà sull'orlo dell'abisso, sulla differenza tra qualcosa e niente di ogni cosa, mancherà il fondamentale.
La visione dell'infondato.
Del miracolo di nessun Dio.
Visione del Buddha.
Da esso sorge la causa della nostra sofferenza, in esso si estingue.
… Franco Bertossa …
… Foto:
Heidegger è il nostro grande campione di tale consapevolezza.
  1. Le finestrelle dello studio della baita di Heidegger nella Foresta Nera. Qui fu intuita l'abissalità del nulla.
  2. Seduto al tavolo da lavoro di Heidegger nella baita. Qui si sedette, dopo un'intuizione circa il nulla avuta sulla neve, per trarne la vertiginosa indagine fenomenologica di "Che cos'è metafisica?" Privilegio raro, potersi sedere nel luogo dell'illuminazione.
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2024.04.19 10:20 Valuable_Fox4780 Fole sull'illuminazione... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Fole sull'illuminazione
Cosa significa illuminarsi? In genere lo si intende come esperienza di intuizione profonda relativa a…?
Ecco, è qui che mi trovo in grande dissenso con molti maestri.
Avendoci ragionato e meditato per decenni, e per decenni essendomi confrontato con le varie tradizioni, ho concluso che vi sono tre grandi correnti di ricerca.
La prima segue alla domanda "quale è la mia natura essenziale?". La seconda è quella del "cuore", là dove una pienezza del sentire sazia, accompagnando o meno le intuizioni successive alle domande precedenti.
Ve n'è una terza che segue, invece, alla domanda "Comunque sia, che senso ha?".
La prima, riguardo al vero Sé, ha, oggi, un grosso seguito, così come quella del "lasciati andare al sentire e non chiederti oltre".
Io, invece, sono figlio della terza, quella sul senso.
Ritengo che dove non c'è domanda sul senso dell'esistente nel suo insieme - coscienze sottili e amore inclusi - neppure vi sia profonda illuminazione.
Ciò non toglie che si possano vivere autentiche esperienze sui binari della ricerca della natura essenziale e su quella del cuore, ma le ritengo parziali.
La via che mi convince a fondo facendomi spesso apparire polemico e incontentabile nel confronto è quella che ha posto fine al mio disagio esistenziale vissuto e patito tra i quindici e i venticinque anni.
Ho cercato per tutto il resto della vita persone che avessero vissuto e compreso quel tipo di risveglio e ho realizzato che sono pochissime.
Che ne abbiano vissuto l'esperienza ve ne sono, ma che anche ne abbiano desunto il significato appropriato, poche.
Credo che ciò accada anche perché quell'esperienza può assumere toni inquietanti - può spaventare.
È lunare, siderale.
D'un tratto il mondo appare sconosciuto, mostruoso, ma al contempo puro, meraviglioso miracolo..
Invece quando si vive l'esperienza circa la "natura essenziale" le espressioni sono di natura diversa: unità col tutto, vuoto-ma-in-realtà-pieno, pura coscienza, amore infinito, pace senza limiti..
Questa è la terra dei santi e dei dispensatori di beatitudine.
Ma v'è dell'altro.
L'altro lo si coglie solo se si viene sorpresi dalle sue voci.
La prima esplosione intuitiva lascia il sapore di prossimità al definitivo, ma ancora restano zone oscure.
Solo indagando con coraggio e abbandono nelle ombre residue si fa chiaro.
Essere è puro miracolo.
E ciò non per "il sorriso dei bambini, il canto degli uccellini, i fiori di primavera..", ma per l'essere del tutto, dai rifiuti che imbrattano la natura, agli assassini e ai politici corrotti, così come naturalmente anche dei santi illuminati.
Questo è difficile capirlo.
Il discrimine decisivo per la retta illuminazione sta nelle voci che solo il niente può risvegliare e sono voci spaesanti.
Voci che aprono alla visione della differenza di quel che è - dunque tutto - rispetto a niente.
Stupore, meraviglia, miracolo.
Il solo esserci è portento che, se colto appieno, lascia catatonici.
Dalla illuminazione sulla prodigiosa differenza rispetto a niente prende inizio quella che per me è la vera Via.
Ed è la via del Buddha.
Dunque non ci si limita alla natura essenziale a cui, sapendo come meditare, si ha talvolta accesso (talvolta perché v'è quel che noi "tecnicamente" possiamo preparare meditando e v'è azione autonoma della coscienza stessa che, d'un tratto, ti rapisce "sua sponte" e ti fa ritrovare nel suo apersonale cuore madreperlaceo, vuoto ma pieno di potenza e grazia).
Ma, insisto, non è tutto.
Il Buddha, primo, lo realizzò classificando anche la infinita coscienza (infinito vijnana) a mero "elemento dell'esistenza"; un dharma come gli altri (dharma: più o meno "fenomeno"; datità specifica dell'esistenza).
Esiste coscienza, seppure considerata anche nei suoi strati più profondi ed essenziali, come esiste ogni altro elemento dell'esistenza.
Ciò spinge alla vacuità.
Vacuità che non sta per "dimensione vuota".
Oltre non mi spingo perché l'oltre lo si insegna occhi negli occhi.
Ecco dove non sono d'accordo con l'insegnamento di molti maestri, tradizionali o rivoluzionari che siano.
E, per completare una trilogia dei post, Osho non ha certo tematizzato il niente nelle sue meditazioni.
Non sto mettendo in dubbio, come ho ripetutamente scritto, che abbia vissuto un risveglio, ma solo che abbia visto il fondo di quanto sia possibile vedere.
La bella intervista che linko, purtroppo solo in inglese, esprime, con le sue stesse parole, dove è arrivato.
https://www.youtube.com/watch?v=V0clgH5cD88
Non è certo poco, ma non bastò perché io cercassi ulteriormente di incrociarne lo sguardo e vivere quella rara festa che poche volte nella vita è dato di celebrare.
Quando accade che due occhi che sanno mirino in altri due occhi che sanno, non si evidenziano solo quattro occhi, ma, in un brivido, sorge potenziata la comune consapevolezza del prodigio ultimo.
Quello stupefatto silenzio, quella celebrazione ishin denshin, da cuore a cuore, vale una vita.
Per questo ho cercato tante volte chi ne fosse consapevole.
Soprattutto dopo che ne ero diventato consapevole io.
E lo faccio ancora, dopo quarantaquattro anni.
Se venissi a sapere che all'alto capo del mondo vi è chi ha questa consapevolezza, partirei subito.
Il Conte von Dürckheim mi ha insegnato questo: dedica fosse anche il tuo ultimo respiro a condividere questa mistica celebrazione.
Per questo mi dedicò uno dei suoi ultimi respiri in questo mondo. …
… Franco Bertossa …
… Foto: 1980, in Nepal, sull’Himalaya.
  1. In mezzo alla foto si distingue un edificio rossastro; è un Gonpa, tempio tibetano. Oltre, dietro, un po' più su del limite innevato, sta Muktinath, oltre i 4000 msl, luogo sacro sia a Indu che a Buddhisti.
  2. Una tempesta di vento e sabbia nel letto del fiume Kaligandaki che dal Tibet scorre verso le valli del Nepal. Beatrice e Temba Sherpa combattono col vento a cascata mentre li fotografo.
  3. Beatrice e Temba Sherpa nel cortile del tempio di Padmasambhava a Muktinath.
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2024.04.19 10:20 Valuable_Fox4780 Un pomeriggio del 1972... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Un pomeriggio del 1972, ero liceale, finite le lezioni, sul bus verso casa incontrai il mio professore di letteratura italiana, uomo brillante sui trentacinque anni, il quale, tra l'altro, per primo ci aprì la mente anche alla letteratura inglese - aveva vissuto a lungo a Londra e aveva una moglie britannica. Viveva per lo studio, ma socializzava bene con noi avendo anche praticato molto sport.
Ricordo che teneva il mano un libro di Flaubert. Io timido studente, osai chiedergli se anche lui pensasse prima o poi di scrivere un romanzo. Mi rispose molto semplicemente e cordialmente che sì.
E su cosa professore?
Sull'uomo, disse, guardando appena di sbieco, oltre il finestrino.
Poi tacemmo, lui mirando altrove, ben oltre i palazzi limitanti la via percorsa dal bus comune. Scese prima lui, salutandomi con un sorriso appena abbozzato.
Io, diciottenne, restai con nella mente la sua risposta, una delle più importanti ricevute durante il mio percorso scolastico.
"… un romanzo sull'uomo."
Da allora non ho cessato di chiedermene: cos'è uomo, cos'è esperienza umana…
Ci affacciamo sul mondo - si usa dire che nasciamo - e aspettiamo che tale finestra si richiuda - che si muoia.
In mezzo che accade?
Viviamo l'esperienza umana.
Penetrare questo mistero divenne la passione trascinante della mia vita.
Ho viaggiato ed incontrato genti lontane. Non ho cercato panorami per la sola loro bellezza, ma amavo camminare anche per settimane su impervie montagne se là in fondo v'era traccia di un significativo vissuto umano.
Cosa cerchiamo? Che ci muove?
Cosa potrebbe soddisfarci? È possibile trovare la pace, quella risposta che non ne cerca altre?
Che significa vivere insieme? Come possono gli uomini vivere insieme?
Ho incrociato occhi di ogni colore di distanti aree della terra. Persone che mi hanno parlato appassionatamente senza che capissi una parole della loro lingua eppure commuovendomi per la luce che brillava nelle loro pupille e per la sintonia che scaturiva magicamente dai nostri cuori.
Sono stato raccolto da sconosciuti lungo lande assolate o prossime alla notte quando disperavo di arrivare alla meta.
Un fucile puntato alla pancia si abbassava grazie al sorriso che l'altro capiva. Un confine si apriva grazie al passaporto degli occhi che incontravano altri occhi veri.
Di là c'è un uomo, non un funzionario.
Derubato, ho seguito i ladri fino alla loro tana e mi hanno restituito il maltolto perché sono uomini, non ladri, e capiscono il linguaggio di uno sguardo autentico.
Cos'è uomo?
Ho incrociato gli occhi incantati di chi non aveva mai visto mondo, i miei figli appena nati, e ho visto la nebbia della morte calare in quel che fino ad un istante prima era il vivido sguardo di mio padre - e poi di mia madre.
Cos'è esperienza umana?
Ho passione per la filosofia, per la poesia, l'arte in genere, e per la meditazione, ma non per le ricette di soluzioni affrettate e semplicistiche.
Certo, tutto è uno e la verità è non duale, ma allora perché t'arrabbi come tutti gli altri se subisci un affronto o una fregatura? La verità è eterna, d'accordo, ma perché hai paura delle malattie, della sofferenza e della morte?
Il fatto è cha la verità è al contempo già tutta qui seppure resti ancora tutta da conquistare.
Un caro amico, uno degli ultimi testimoni della Scuola di Kyoto, il professor Ohashi Ryosuke che fu anche allievo di Heidegger, oltre che praticante serio di Zen per trent'anni con Hisamatsu Shin'ichi, pose la domanda: possiamo accontentarci dello Zen tradizionale trovandoci a contemplare un fiore radioattivo?
Ecco che significa non accontentarsi di facili paradisi.
Cos'è esperienza umana? Chi, cosa è l'uomo?
Forse, innanzitutto, la capacità di domandarsene.
E la spinta a insistere nella domanda.
... Franco Bertossa ...
… Foto: 1. A Parigi, con una donna che ha accompagnato il mistero dell'esperienza umana guardando con forza negli occhi chi moriva, perfino sulla sedia elettrica: Joan Halifax roshi. Il libro che narra dell’accompagnamento dei morenti da lei praticato per decenni, “Abbracciare l’infinito”, è stato tradotto da una socia di Asia, Silvana Buzzi. Lo trovate nei commenti. 2. Con il Mind and Life Europe, cercando di condividere la domanda sull'uomo.
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2024.04.19 10:19 Valuable_Fox4780 Nei primi anni ‘80... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Nei primi anni ‘80 partecipai ad una serie di sedute di "Kundalini" e altre danze e pratiche "catartiche" istituite da Osho, allora Bhagwan shri Rajneesh, su base musicale di Deuter, un musicista tedesco new age di grande talento.
Una di dette sedute contemplava che una coppia, maschio e femmina, seduti uno di fronte all'altra a gambe incrociate, si tenesse abbracciata, cuore a cuore e, indotta da musica e facilitazione del conduttore, si lasciasse andare gridando la propria frustrazione e i propri bisogni e desideri.
Mentre abbracciavo la mia occasionale compagna, bella ragazza tra l'altro, sentii esplodere le grida di altri partecipanti, qua è là. Poi iniziò anche la mia partner.
Tra me e me considerai che ci si aspettava che anche io prendessi ad urlare esprimendo le mie frustrazioni.
Il facilitatore, visto che non mi "sbloccavo", prese a massaggiarmi il sacro sussurrandomi di lasciarmi andare.
Io, sempre abbracciato alla bella partner, mi chiedevo quale frustrazione potessi urlare anche io così da non essere da meno.
Non ne trovavo. Di amore ne ho sempre ricevuto sufficientemente. Non ero incazzato col mondo, ma appassionato di mondo. Avevo un sacco di amici e svolgevo il lavoro che più amavo. Sesso...? Quanto bastava.
Inoltre, solo un paio d'anni prima avevo vissuto la più sconvolgente e per me definitiva - lo confermo dopo quarant’anni - esperienza di risveglio interiore.
Vivevo nella gioia e nella meraviglia.
Ero, a quel punto, seriamente imbarazzato.
Conclusi che la più onesta partecipazione che potessi offrire fosse di gridare quanto le cose mi andassero bene.
E iniziai.
Il facilitatore non sapeva come inquadrare la mia strana performance. Prese ancor più vigorosamente a massaggiarmi il sacro sussurrando con decisione (con disperazione...?) di lasciarmi andare, di far uscire il mio dolore.
E io più forte…
Poi venne il momento di sdraiarsi e assaporare la pace in silenzio mentre la musica di Deuter solennizzava.
Andavo, però, via via realizzando che chi era già in pace non trovava né posto né comprensione in quel luogo in cui si cercava… pace!
Mi sorse una risata irrefrenabile dal profondo e mi ci lasciai - ora sì! - andare.
Ridevo e ridevo…
La mia partner, sdraiata di fianco, irritata, mi sussurrò di piantarla e anche il facilitatore accorse preoccupato. Forse la mia catarsi iniziava allora, ma, acc… era fuori tempo massimo e nessuno lo comprese.
Il rito stabiliva che quello fosse il momento d'essere pacificati. Punto.
In una pausa, per non dismettere il mio credito al conduttore, lo avvicinai e gli chiesi quando avesse vissuto, nella sua vita, il momento di massimo stupore e perché.
Mi rispose, dopo aver un po' riflettuto, "Quando mi lasciò la mia ragazza...". Ohibò, mi sorpresi a dirmi, ripensando all'esplosione di stupore vissuta due anni prima quando avevo scoperto d'esistere…
Antefatto -
A Puna ero già stato e ora vedevo confermata l'impressione colà ricevuta. La via di Osho non era la mia.
Ciò non toglie che molti giovani siano stati accolti da essa, ma il profumo di denaro, di business e di lusso che gravitava attorno ad essa era quanto di meno spirituale di cui io mai avessi potuto essere testimone.
Ciò iniziava fin dal momento in cui l'aspirante "spirituale" medio che provieniva dall'Occidente atterrava a Bombay. Allora si usavano i Travaller chèque come denaro da viaggio. Erano una sorta di assegno che, controfirmato, si cambiava con rupie in banca. Erano assicurati in caso di smarrimento. Poiché all'epoca i sistemi di comunicazione tra le banche erano lentissimi e inefficienti, molti ne approfittavano nel modo che segue. Denunciavano uno smarrimento fittizio alla sede locale indiana della, mettiamo, American Express, facendosi rilasciare cheques per un ammontare pari a quello dichiarato smarrito. Poi, solo spostandosi alla più vicina banca, andavano a cambiare tutti insieme i cheques originari, in realtà mai smarriti, più quelli appena ricevuti in risarcimento.
Raddoppiavano la cifra con cui erano partiti da casa senza sforzo alcuno, solo facendo tacere la coscienza.
Una classica truffa.
Gli indiani, naturalmente, vedevano di pessimo occhio questi numerosissimi imbroglioni che, però, aspiravano - su questa base etica… - a illuminarsi, a diventare sannyasin, che è un ruolo spirituale di tutto rispetto, in India.
Ecco, a Puna la suddetta truffa da parte dei "sannyasin" di Osho era la norma.
Non erano tutti così, ovviamente, ma la maggior parte non si faceva scrupoli.
Osho dovette emigrare in USA per il suddetto odioso motivo che rendeva invisi i suoi "sannyasin" (un sannyasin è, nella tradizione, un rinunciante, pensa un po'… ) e per motivi di perpetuo scandalo che io trovo fosse assolutamente fuori luogo alimentare in seno alla plurimillenaria civiltà indiana molto morigerata nei costumi.
I "sannyasin" si lasciavano andare ad effusioni erotiche incontrollate ovunque, anche per strade frequentate, turbando nel profondo i locali.
Quando io stetti a Puna si avvertiva chiaramente l'umore fortemente critico di cui scrivo da parte degli indiani.
… Aggiungo l'arroganza insolente - che neppure il più duro coloniale inglese… - con cui molti sannyasin trattavano i locali, dal riksho-man al venditore di frutta, e lo vedevi regolarmente, appena fuori dall'ashram così come nei mercati. Questo era a cagione del fatto che i sannyasin non venivano per l'India, ma solo per l'ashram di Osho a Puna, cosicché non imparavano, via via viaggiando, le norme di comportamento onde non urtare gli indiani. Erano turisti spirituali con l'atteggiamento di chi ha i soldi, appartiene ad una civiltà superiore e può permettersi tutto.
Ma ogni Via che si rispetti inizia con un codice etico in cui il non rubare, la gentilezza e la regola nei comportamenti sessuali trovano posto centrale.
Una palese contraddizione - per chi sa cosa sia una Via seria.
Insomma, troppe note evidentemente stonate perché potessi restare con Bhagwan shrii Rajneesh, alias Osho..
Mi sentii asfissiato.
Presi il treno in apnea e tornai finalmente a respirare solo una volta che il riksho mi scaricò all'ashram di Ramana Maharshi.
Senza che io sapessi nulla, giunsi proprio il giorno della festa del suo compleanno.
E piansi di gioia.
N.B. Non vuole essere un post contro Osho in assoluto. Credo che abbia meriti e demeriti. Era illuminato? Indubbiamente qualcosa di profondo e autentico lo aveva vissuto. Era, inoltre, colto, fluente in inglese e molto carismatico. Incontrò anche l'epoca giusta, quella in cui l'occidente entrò spiritualmente ed eticamente in crisi. Io andai per conoscerlo da vicino, ma non funzionò.
... Franco Bertossa ...
Foto: Com'ero allora, 1980, a ventisei anni; qui, con Beatrice Benfenati, alla grotta di Virupaksha, sulla montagna sacra di Arunachala, luogo dove visse Ramana Maharishi.
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2024.04.19 10:18 Valuable_Fox4780 Si è veleggiato per lunghi periodi ... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Si è veleggiato per lunghi periodi in un'inerzia di media consapevolezza, quando giungono, inattesi, i colpi di nulla.
Delusioni, abbandoni, insuccessi, lutti…
Con essi, d'un tratto sembra risvegliarsi una mente capace di chiedersi di più, che vorrebbe capacitarsi, che reclama ragione, che urla un "perché?".
Talvolta anche l'ordinario fa sentire la voce del nulla e ciò accade nella noia, la quale può accompagnare ciò che momentaneamente non riesce a coinvolgerci, oppure, più radicalmente, allorché la vita intera pare avvolta dalla nebbia del più profondo tedio, condizione da cui non vediamo scampo qualsiasi novità possa tentare di scuoterci.
Nelle suddette circostanze affiora la mente aperta alle consapevolezze più radicali.
Solo con, e in, questa mente, si possono cogliere i precursori delle voci dell'essere.
Si tratta della perplessità sul senso del tutto.
Sullo stesso esserci di un mondo.
La mera filosofia, o anche una disciplina meditativa, non portano necessariamente in profondità.
La verità non ha l'abito della teoresi filosofica goduta nella torre d'avorio o quello delle profonde meditazioni sul Sè o sulla beata unità col tutto;
ma quello dello sconcerto abissale che disvela l'ingiustificabile.
Quando - e solo quando - la routine convenzionale delle nostre vite viene interrotta dalle voci del nulla, diventiamo permeabili alla domanda di senso.
Ovvero iniziamo ad avvertire che qualcosa non torna.
In ultimo nulla torna.
Il mondo è "di troppo", è un'eccedenza - rispetto a niente di mondo.
Eppure eccoci qui.
Impossibili, ingiustificabili, ma esistenti e stupiti di ciò.
Se anche fossimo testimoni di un miracolo, ovvero di un evento che trasgredisse le leggi naturali, potremmo ancora pensare che il portento segua leggi a noi ignote - financo quelle soprannaturali o divine - e dunque sarebbe miracolo solo per noi in quanto non aventi accesso a quella dimensione.
Ma il miracolo dei miracoli è quello che accade senza neppure poter esser manifestazione di una legge a noi ancora ignota.
Semplicemente non PUO' stare accadendo, è impossibile, non dovremmo esser qui a dircelo.
Eppure eccoci qui.
Le voci del nulla sono i precursori del risveglio a questo "oltre prodigio" che d'abitudine nomiamo come "essere", senza minimamente sapere a cosa con esso, propriamente, ci riferiamo.
Mi chiedo sovente se, nella sua infinita fantasie creativa, l'essere non potesse tenerci liberi dalla sofferenza pur svelandoci il suo mistero.
Un mondo dove l'essere dicesse di sé sussurrando ad esempio la sua poesia.
MI rispondo che se ne fossimo all'altezza, lo farebbe già ora - e che quando lo saremo non avrà motivi per non farlo.
Comunque non si giunge alla consapevolezza senza il sapore del nulla che può essere freddo o caldo, come le pitture metafisiche del norvegese Munch rispetto ad un più caldo Van Gogh, entrambi molto lucidi, ma terribilmente e tragicamente sopraffatti dal mistero.
Spero che ora godano della pura voce della poesia che così disperatamente hanno inseguito.
E ci hanno donato.
Spero che i toni tristi e sofferti siano ora per loro solo il ricordo di un purgatorio già scontato.
... Franco Bertossa ...
… Foto: De Staël, Munch e Van Gogh
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2024.04.19 10:17 Valuable_Fox4780 Esserci, essersi.... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Esserci, essersi.
Un solo fatto è certo: ci ritroviamo ad esserci.
Cosa o chi siamo, è irrisolvibile mistero o addirittura domanda insensata che non contempla risposta, ma solo stranimento in sfaccettature che vanno dallo stupore muto alla meraviglia con toni positivi o addirittura lirici.
L'oscuro mistero si manifesta innanzitutto nelle viscere, attraverso un sentire profondo che ci agita.
A tale primordiale sentire l'uomo ha cercato di dare espressione e sono nati i miti.
I miti non sono necessariamente religiosi; anche il marxismo, come ogni altra lettura politica, è un mito.
Anche la scienza lo è.
L'espressione originaria dell'oscuro che ci agita per il mero ritrovarci ad esistere prende quei canali che promettono sollievo dall'inquietudine per l'esser-gettati nell'esistenza.
I canali principali sono quelli della narrazione, dell'alleanza e del controllo.
Un oscuro evento, allorché narrato, appare già più luminoso - e dunque affrontabile.
La narrazione sovente comporta che potenze superiori - divine - più padrone dell'esistere, siano avvicinabili e possano allearsi con noi per proteggerci e darci sollievo - ecco la religione.
La versione più recente di tutto ciò è la dominante, suprema versione della narrazione rigorosa la quale porta - in sede di principio - al pieno controllo di quanto narrato, ed è la scienza.
Quando ci convinciamo di poter controllare l'esistente - grazie alla mediazione degli déi o per conoscenza delle leggi di natura - avviene il passaggio tra il sentimento del mero ritrovarsi ad esser-ci a quello dell'esser-si.
Esserci è sentimento intriso di irrisolvibile estraneità a sé e alla condizione in cui ci si ritrova nonostante noi.
Essersi è, invece, intriso di familiarità e di fiducia di poter fare dell'esistenza la propria dimora.
Il sentimento di un Buddha, dello Zen, di un Leopardi o di un filosofo esistenzialista è quello derivante dal ritrovarsi ad esserci. La condizione in cui ci si ritrova - e sono condizioni anche l'io e la coscienza stessi… - è intrinsecamente oscura.
La condizione biblica, di Gesù stesso e via via dei pensatori religiosi e poi scientifici e politici contemporanei, tutti pervasi di senso di appartenenza e di controllo, è quella di essersi, ossia dell'identificazione con la condizione in cui si è e che va solo migliorata.
Punto centrale: dall'essersi non può scaturire la piena consapevolezza dell'essere poiché questa affiora solo allorché il niente lo oscura.
Chi vive essendosi e pienamente aderendo alla propria condizione, è nell'oblio del fatto che non può sapere né come mai ci sia né cosa sia.
La strettoia attraverso il nulla è necessaria per ritrovare quella consapevolezza che, ai primordi, era avvertita solo come una stretta alle viscere poi neutralizzata dalle vie della narrazione, dell'alleanza e del controllo.
Dunque il ritorno alla voce dell'essere passa per la visione che nulla possiamo sapere e nulla possiamo decidere.
Che siamo gettati, nostro buon o malgrado - questi ultimi del tutto irrilevanti.
Ciò pare oscuro e terribile.
Perché dunque ritornare in quella notte?
Perché la vera notte non è oscura.
In essa la luce non emana dai soli o dalle stelle e neppure dalle coscienze; emana dall'essere stesso. l'essere sia dei soli che delle coscienze.
Emana dal suo miracolo perpetuo - eccedente ogni Dio, il quale, essendo, si rivelerebbe esso stesso un miracolo dell'essere.
Tale prodigio svuota ogni mostro che paia aggredirci del suo potere di minaccia.
E in questo mistero, che nessun inferno e nessun paradiso possono estinguere, resta il dono - neppure ricercato - di una perpetua e sottile
meravigliata gioia.
Sottile al punto da non essere neppure una condizione.
.....
Punto di partenza è la domanda:
Mi sono o ci sono?
Forza.
... Franco Bertossa
...
Foto: Casa di fronte alla casa di Giorgio Morandi, a Grizzana (BO) Questa era la sua luce guida, la luce dell'essere. 2. Giorgio Morandi, Paesaggio con casa rosa, 1927
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2024.04.19 10:16 Valuable_Fox4780 Dell'esser del tempo. ... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Dell'esser del tempo.
Ciò che colgo, sia coi sensi che col pensiero, è già lì allorché lo colgo poiché il suo mostrarsi pare sempre essere già iniziato.
L'atto minimale del coglierlo sa di passato: è come affacciarsi su una scena già in atto.
E ciò riguarda ogni fenomeno e ogni evento esperito: sia il colto che lo star cogliendo, del quale ultimo pure sto sapendo - se ne sto parlando.
Epperò nessuno può fare esperienza di passato, ma solo di un presente che offre sapore di passato nel pensiero che ricorda.
Ma anche il ricordo è colto essendo già presente come immagine del ricordato: il pensiero che ricorda il passato pare esser già esso stesso passato.
Ossia il ricordo stesso non solo sembra ripresentare il passato, ma esso stesso, nell'evento minimale del suo darsi come pensiero intriso di "ricordo", è già nel passato - è già lì, allorché lo si coglie.
Dunque non possiamo in alcun modo certificare che vi sia del passato poiché il suo sapore sempre e solo può offrirsi ad un presunto testimone che deve attuarsi nel presente.
Sconcertante conseguenza: se il tempo passato non è certificabile - v'è solo "sapore di passato" che pare darsi solo nel presente - e se il presente, per poter essere definito tale, non può che assumere il suo statuto dal passato, allora neppure il presente è certificabile come presente.
E dunque accade?
Qualcosa che "sa di tempo", ma tempo non è.
Cos'è?
Appunto.
"Quel che è veduto non lo si sta vedendo; Quel che non è veduto, non lo si sta vedendo. Privo di ciò che è veduto e non veduto, non vediamo alcuna cosa che si stia vedendo".
(Equazione nagarjuniana con una variabile transitiva. MMK, II, 2)
Franco Bertossa …
Foto: Giorgio De Chirico, Gioie ed enigmi di un ora strana, 1913.
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2024.04.19 10:16 Valuable_Fox4780 Copri un bicchiere vuoto... Articolo del Maestro Franco Bertossa

Copri un bicchiere vuoto con un panno da cucina. Fissa il panno per un po' e poi tiralo via di colpo e scopri il bicchiere. Per un istante subliminale vedrai solo una ignota presenza.
Non sarà "bicchiere" - questo è un significato che sopraggiungerà dopo una frazione di secondo.
Ora continua a fissare il bicchiere oltre la sua parentesi di usabilità.
Se è un bicchiere vuoto, ad esempio; fissalo a lungo.
Superato il limite di usabilità - il tempo in cui è sensato pensare che vi verserai una bevanda - esso inizierà di nuovo, a tratti, ad apparire sconosciuto.
E potrà accadere che il suo Nulla - il vuoto del suo significato di bicchiere - lasci con l'estremo evento e mostri l'irridcibile mistero dell'esserci di quella impenetrabile presenza.
A volte tale apertura accade spontaneamente con oggetti e persone, altre volte accade con il mondo intero.
Te incluso.
Così esplode nel cuore lo stupore per il fatto che, a prescindere, qualcosa esista - che tu esista - piuttosto che nulla.
Ecco alétheia, il non-nascondimento: la verità.
La teoresi non giunge a tanto.
La fenomenologia esperita è la via che apre alla visione del miracolo.
Ecco Heidegger.
Ed ecco lo zen.
… Franco Bertossa …
… Foto: Sera sul viale Karl Johan, E. Munch.
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